Ferie non godute del dirigente

 

Con sentenza n. 13953 del 13 giugno 2009, la Cassazione ha affermato, rifacendosi a precedenti indirizzi (Cass. 11786/2005 e n. 7883/1996), che l’indennità sostitutiva di ferie non godute non spetta al dirigente a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali e oggettive, ostative della fruizione. Ciò non può desumersi, tuttavia, dalla presunzione di una piena autonomia decisionale per tutti i dirigenti.

 

 

Data:  07 giugno 2005 Numero:  n. 11786

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   

                           SEZIONE LAVORO                           

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           

Dott. Sergio       MATTONE       -       Presidente -               

Dott. Camillo      FILADORO      -      Consigliere -               

Dott. Giuseppe     CELLERINO     - Rel. Consigliere -               

Dott. Giancarlo    D'AGOSTINO    -      Consigliere -               

Dott. Filippo      CURCURUTO     -      Consigliere -               

ha pronunciato la seguente                                          

                              SENTENZA                              

Fatto

Svolgimento del processo

La sig.ra A.F. quale erede del rag. R.F. a suo tempo Direttore generale dell'ISVEIMER, ricorre per cassazione esponendo tre motivi d'impugnazione contro la sentenza, descritta in epigrafe, della Corte d'appello di Napoli che, confermando la decisione di primo grado, ha rigettato la domanda che il marito, licenziato dai Commissari liquidatori della spa ISVEIMER in liquidazione il 22 gennaio 1997, aveva proposta nei confronti della società per ottenerne la condanna al pagamento della (residua) complessiva somma di circa 108 milioni di lire, oltre accessori, a titolo: a) di retribuzione del mese di gennaio 1997, con conseguente rateo di tredicesima; b) d'indennità sostitutiva per ferie non godute, pari a 60 giornate dal settembre '93 al gennaio '97 e, c)d'indennità sostitutiva per festività soppresse.

Circa il mancato riconoscimento dell'indennità sostitutiva per ferie e festività soppresse, la sentenza d'appello ha ritenuto che l'interessato non avesse provato "l'assoluta eccezionalità delle esigenze di lavoro" che gli avrebbero impedito, come vertice apicale dell'ISVEIMER, d'interrompere il servizio per goderne, ciò "non potendo di certo.. ritenersi insito nella sola dedotta attività liquidatoria", né risultando che avesse lavorato nei giorni festivi soppressi.

La Corte napoletana ha osservato, inoltre, quanto alla retribuzione del gennaio 1997 (e correlato rateo di tredicesima), negati dalla sentenza di I grado, che l'intenzione, espressa con fax dal F. a fine dicembre 1996 di voler riprendere, essendo stata revocata la misura cautelare penale cui era stato sottoposto, la prestazione lavorativa, era stata dedotta per la prima volta in appello e, quindi, non meritava d'essere valutata, stante il divieto di domande nuove in appello, incidente anche sulla possibilità di produrre i convergenti documenti diretti ad attestare la circostanza.

Infine, sulla base dello stesso principio, la sentenza ha fondato il rigetto della pretesa, manifestata con l'appello e formulata sotto il profilo dell'intesa prevista dal contratto individuale, di dover ricevere, in ogni caso, "tutto quanto avrebbe percepito fino alla scadenza del contratto, senza alcuna decurtazione".

L'ISVEIMER in liquidazione resiste con controricorso.

 

Diritto

Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia difetti di motivazione e falsa applicazione degli artt. 2109 e 2697, cod.civ., e degli artt. 99, 112, 115 e 116, cod.proc.civ., perché la Corte territoriale avrebbe trascurato di prendere in considerazione il motivo d'appello con cui aveva lamentato il mancato accoglimento della domanda relativa alla corresponsione dell'indennità sostitutiva per ferie non godute dal settembre '93 al dicembre '96 e, pro quota, per il gennaio 1997.

Evidenzia, al riguardo, che la sentenza avrebbe erroneamente ritenuto che il F. aveva "solo dedotto e chiesto di provare.. d'aver quotidianamente svolta dal 1994 al 1996 la sua attività di Direttore generale,.. senza tuttavia allegare e dimostrare circostanze idonee a provare l'assoluta eccezionalità delle esigenze di lavoro (non potendo di certo ritenersi la stessa insita nella sola dedotta attività liquidatoria tale da non consentirgli un'interruzione temporanea per il godimento delle ferie spettanti"), trascurando, così, di prendere in considerazione "il punto 7° degli elementi di fatto del ricorso introduttivo", dove "s'evince l'esplicita affermazione della mancata fruizione delle ferie per effetto di 'eccezionali ed obiettive esigenze aziendali ostative a tale godimento'".

Aggiunge che tale convincimento è stato distorto dalla mancata ammissione delle prove orali articolate nel ricorso, reiterate in appello e riferite o riprodotte alle pgg. 8, 13 e 14 del ricorso per cassazione, nonché dall'omessa acquisizione della procura, attestante i poteri di firma dal maggio 1996, rogata dal notaio Mazzocca, conferitagli dall'Istituto, da cui ricavare la dimostrazione, per gli anni '94 e '95, del "mancato godimento delle ferie" e dell'impossibilità di fruire dei giorni di riposo, per gli incarichi straordinari svolti in aggiunta a quelli di D.G., dovendo "assistere una società di revisione impegnata nella riorganizzazione dell'Ente e per seguire la problematica straordinaria della fusione con altra Società", garantendo, altresì, nella veste di Direttore generale, la collaborazione dell'Ente all'ispezione (1995), promossa dalla Banca d'Italia sull'Istituto e, successivamente, presiedendo all'attività liquidatoria dell'Istituto, iniziata nel '96, per cui erano stati evidenziati, infine, i limitati periodi di ferie goduti fra il '93 e il 1996.

Il motivo non merita di essere accolto.

Sulla questione, infatti, è appena il caso di ricordare l'ormai consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale, nell'ambito del principio generale d'irrinunciabilità del diritto costituzionale alle ferie per tutti, dirigenti compresi, i lavoratori, tuttavia non spetta l'eccezionale istituto dell'indennità per ferie non godute a chi, rivestendo una funzione di vertice nell'organizzazione dell'impresa, non eserciti l'autonomo potere di collocarsi in ferie disponendo del tempo di godimento del riposo annuale in modo indipendente, ovvero senza possibilità d'interferenza datoriale, fatta salva la prova, da parte sua, di particolari e straordinarie esigenze aziendali, che ne abbiano obiettivamente impedito il godimento (v. Cass. 18 ottobre 1975, n. 3390; 6 novembre 1982, n. 5825; 9 novembre 1981, n. 5936; 7 marzo 1996, n. 1793; 27 agosto 1996, n. 7883; 11 giugno 1998, n. 5851; 24 dicembre 1999, n. 14554).

Ciò posto, i giudici del merito hanno escluso il preteso diritto all'indennità sostitutiva delle ferie, avendo ritenuto riferibile al F. con un apprezzamento di merito insindacabile in questa sede, l'organizzazione delle sue funzioni "tenuto conto della sua posizione apicale", posto che egli, quale Dirigente generale della società, gestiva in prima persona i tempi del suo lavoro, con l'effetto di rendere inopponibile alla società la pretesa in argomento, in considerazione del carattere esclusivo e totalizzante del suo potere di coordinarsi, al di fuori di ingerenze superiori o contrastanti.

In questo contesto, pertanto, non può essere condiviso il tentativo della difesa ricorrente di superare detto principio attraverso la sottolineatura, peraltro dedotta genericamente, come osservato dai Giudici del merito, nel corso dell'esposizione del ricorso originario (v. punto 7), con riferimento ad un impegno "quotidiano", e dunque non immediatamente riferibile anche alla stagione feriale, di attività ritenute ulteriori e "aggiuntive" (quali la fusione, l'intervento di revisione e l'ispezione accennate) che, proprio per la qualità rivestita dal F., non potevano non coinvolgere "quotidianamente", ovvero in modo normale, al di fuori di problematiche connesse alle ferie, la sua posizione apicale nella gestione della complessiva attività dell'Ente, tenuto conto che correttamente la sentenza d'appello ha rimarcato la necessità di una allegazione e di una prova specificatamente diretta ad evidenziare "l'assoluta eccezionalità delle esigenze di lavoro" che avrebbero ostacolato, nel corso degli anni di riferimento, il godimento delle ferie (e delle festività soppresse).

Con il secondo mezzo d'impugnazione la parte ricorrente ipotizza la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2702, cod.civ., e degli artt. 99, 112, 115, 345, 414, n. 5, 421 e 437, cod.proc.civ., oltre difetti di motivazione, perché il Giudice d'appello, negando la retribuzione del gennaio '97 e la conseguente quota di "tredicesima", non aveva tenuto conto che il F. aveva messo a disposizione della società la propria attività, interrotta da "provvedimenti restrittivi della libertà personale e dall'intervenuta sospensione cautelare", comunicando l'intervenuta messa in libertà ai Liquidatori con fax del 31 dicembre 1996, reiterato con raccomandata dell'8 o 10 gennaio '97, e sostiene che l'interessato ne aveva, in ogni caso, diritto, poiché il contratto individuale di lavoro prevedeva, al punto 5°, che gli dovesse essere "comunque corrisposto tutto quanto avrebbe percepito fino alla scadenza indicata al punto 1, (SENZA ALCUNA DECURTAZIONE).".

Lamenta, pertanto, l'omessa pronuncia sia sul diritto alla retribuzione, sia sulla messa a disposizione dell'attività lavorativa da parte del F., ingiustificatamente negata da controparte, perché dedotta con l'appello e non sin dal ricorso introduttivo, posto che le prove documentali precostituite, prodotte in appello (fax, raccomandata, provvedimento di scarcerazione), non introducevano nuovi temi d'indagine o domande nuove, riguardando un semplice ampliamento del tema conteso ed involgendo mere difese.

Il motivo è assolutamente infondato.

Si legge, infatti, in sentenza, a proposito di questo punto, che "la prospettazione dei fatti... è stata formulata per la prima volta solo in sede di gravame, non risultando, dalla lettura del ricorso di primo grado l'allegazione di una tale circostanza (messa a disposizione delle proprie energie lavorative)..".

A prescindere, dunque, dal problema delle prove documentali, di cui si dirà, allegate solo in appello a suffragio di questa pretesa retributiva, la questione sollevata con questa censura contesta quanto affermato dalla Corte territoriale per aver ritenuto non tempestivamente dedotta la "messa a disposizione delle.. energie lavorative".

Orbene, non si tratta qui, evidentemente, di una semplice emendatio del ricorso di primo grado, dove era stato preteso genericamente il riconoscimento della retribuzione del gennaio '97, quale termine finale del rapporto, ma dell'allegazione del fatto costitutivo del preteso diritto invocato attraverso la comunicazione della cessazione dell'impedimento della prestazione lavorativa, con contestuale disponibilità alla sua ripresa, manifestata ai Commissari liquidatori dal F.

Circostanza, questa, che il profilo di ricorso non contesta assolutamente rispetto all'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, di una "prospettazione dei fatti... formulata per la prima volta in sede di gravame", che, semmai, avrebbe dovuto indurre a una specifica denuncia di error in procedendo per omessa valutazione del fatto decisivo costituito dall'omessa valutazione di questa circostanza.

D'altra parte, quanto alla disponibilità in appello delle prove documentali precostituite, è appena il caso di segnalare che le Sezioni unite di questa Corte, ricucendo finalmente un vulnus processuale emerso in ordine alla producibilità in appello dei documenti precostituiti, hanno statuito, con le sentenze nn. 8202 e 8203 del 20 aprile 2005, il generale divieto di una produzione tardiva di documenti, rispetto all'atto introduttivo del giudizio, salvo i casi eccezionali dovuti al tempo della loro formazione o all'evolversi della vicenda processuale, che ne giustifichi l'introduzione.

Essendosi la Corte partenopea attenuta a tale riconfermato principio di diritto che il Collegio condivide, il motivo deve essere disatteso anche sotto questo aspetto.

D'altra parte, con riferimento al concorrente e alternativo titolo del debito ventilato con questo profilo d'impugnazione, perché in tesi garantito dal contratto individuale mediante la previsione di ottenere, come corrispettivo, "tutto quanto dovuto sino alla scadenza, senza decurtazione alcuna", occorre rimarcare che questo profilo non risulta in quali linee fosse stato specificamente allegato nella fase originaria di merito, dove a ben vedere, s'invocava il contratto di lavoro (v. pg. 16, secondo alinea, ricorso) e la sua perdurante efficacia, senza considerare che la permanente corrispettività delle reciproche prestazioni, salvi specifiche eccezioni (quali la malattia, le ferie, ecc.) costituisce la "causa tipica" del contratto di lavoro.

Né si prospettano in questa sede, secondo il noto principio d'autonomia del ricorso desumibile dall'art. 366, n. 4, cod.proc.civ., i termini della previsione pattizia, per contro solo genericamente enunciati. Inoltre, a conforme conclusione negativa, come detto, deve pervenirsi in relazione alla mancata ammissione di prove vagamente riferite nel corso dell'esposizione di questo mezzo ed articolate, secondo l'assunto, come "mere difese" in appello.

Infatti, il principio di allegazione, che è sotteso all'enunciazione dei fatti su cui si basa la pretesa, impone, ab origine, una ricostruzione puntuale ed obiettiva del rapporto di lavoro, anche nel suo divenire, trattandosi di un rapporto di durata, perché solo a fronte di una siffatta chiarificazione sorge, in misura paritetica, l'obbligo vicendevole della contestazione (v. SS.UU. 17 giugno 2004, n. 11353).

L'affermazione, pertanto, che la documentazione della ritrovata libertà costituisse una semplice difesa, argomentata in relazione all'eccezione di controparte dell'impossibilità della prestazione per fatto del Direttore, imponeva, secondo l'insegnamento appena detto, e a tutto concedere, l'immediata prospettazione della circostanza sin dal momento dell'eccezione d'inadempimento, con le relative dimostrazioni documentali, ma giammai può costituire elemento di "eccezione" o "mera difesa" in appello, trovando la pretesa in questione fondamento nel fatto (costitutivo) "nuovo" della recuperata disponibilità della prestazione da parte del dirigente.

Con il terzo profilo la difesa ricorrente si duole, sotto la consimile, rispetto ai precedenti motivi, prospettazione di violazioni di legge e vizi di motivazione, del fatto che il Giudice non abbia riconosciuto la ricompensa per il mancato godimento delle quattro festività soppresse, adducendo che il F. non aveva "neppure allegato e chiesto di provare, articolando specifico capo di prova, lo svolgimento della prestazione lavorativa in tali giorni".

Reclama, infatti, d'aver offerto di provare, "con apposito mezzo istruttorio (prova testimoniale).." questo aspetto che, "...il G.U.L. prima e la Corte d'appello poi, immotivatamente, ritenevano opportuno non esperire" e, a questo riguardo, obietta il diritto del dirigente di vedersi corrisposta la retribuzione per tali festività, avendo il contratto individuale richiamato "esplicitamente" il Regolamento del personale direttivo ISVEIMER e il ccnl del 1995, ("applicabile ai dirigenti"), risultandone confermata l'estensione dalle buste paga prodotte, essendone prevista la debenza per i funzionari.

Al riguardo, va osservato che anche di queste pretese il Giudice d'appello ritenne "l'inammissibilità secondo il principio processuale sopra richiamato", avendo rilevato "che tale deduzione.. (fu) formulata per la prima volta" nella fase del gravame e di quest'aspetto manca, nel motivo, una puntuale e rigorosa contestazione.

In ogni caso, si può aggiungere che la prospettazione del motivo si presenta generica rispetto al decisum perché, per concludere definitivamente il tema dibattuto con questo profilo di ricorso, la pretesa non ha, né dimostra di avere, alcun specifico riferimento nella precedente fase di merito, essendo la questione del rinvio alla contrattazione collettiva fuorviante, risultando questa richiesta, in base alla sentenza che non ne affronta le problematiche specifiche (affrontate, invece, per il premio di rendimento), dedotta per la prima volta in sede di legittimità e riguardando personale (funzionari) non omologabile con le prerogative di un alter ego dell'imprenditore, come appariva essere e fu, con i relativi incommoda, il F.

Le spese processuali di questo giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente alle spese liquidandole in 12,10 e in 2.500 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

Così deciso in Roma il 2 maggio 2005

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 7 GIU. 2005

  

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 Data:  27 agosto 1996 Numero:  n. 7883

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

                            SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

   Dott.    Gentile           RAPONE                      Presidente

    "       Sergio            MATTONE                     Consigliere

    "       Giovanni          PRESTIPINO                       "

    "       Erminio           RAVAGNANI                   Rel. "

    "       Bruno             BATTIMIELLO                      "

ha pronunciato la seguente

                               SENTENZA

 Fatto

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 2 luglio 1990 il Dottor Lanfranco Vaccari, deducendo di essere stato direttore responsabile del settimanale "Europeo" alle dipendenze della R.C.S. Periodici, senza aver goduto degli anni 1986 e 1987 del periodo di ferie spettantegli, chiedeva al Pretore di Milano la condanna della datrice di lavoro al pagamento dell'indennità sostitutiva del godimento di 53 giorni di ferie, previa dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali che ricomprendevano «nel superminimo forfettario mensile ad personam o comunque nella retribuzione mensile complessiva anche eventuali settimane corte e ferie non fruite".

La convenuta opponeva che le pattuizioni ritenute illegittime si limitavano ad attribuire la facoltà di scelta a godere delle ferie o no, e che comunque il trattamento globale erogato era stato di gran lunga superiore ai minimi contrattuali e senza dubbio di maggior favore rispetto a quello rispondente alla puntuale applicazione del contratto collettivo.

Proponeva poi domanda riconvenzionale di condanna al pagamento di L. 8.014.905, per il caso di ritenuta nullità delle pattuizioni in materia, in relazione al maggior trattamento erogato quale superminimo individuale.

Il Pretore adito accoglieva la domanda, determinando il quantum nella somma di L. 14.510.935.

La R.C.S. Periodici interponeva gravame, cui resisteva il Vaccari.

Il Tribunale di Milano accoglieva l'appello, osservando quanto segue.

Il dato testuale, agevolmente emergente dalle pattuizioni in questione, è che non è stabilita alcuna preventiva limitazione del diritto del Vaccari alle ferie ma, se mai, è posto un incentivo per il direttore a godere effettivamente delle ferie spettantigli, nella prospettiva che, se si organizza in modo da privarsene, non potrà comunque godere di una indennità sostitutiva. La posizione del Vaccari di assoluta autonomia nel gestire le modalità della prestazione propria oltre che dei collaboratori fa sì che la previsione contrattuale di cui si discute non possa in ogni caso essere considerata rinuncia preventiva al diritto inderogabile alle ferie. Il fatto poi che l'enorme mole di lavoro abbia in concreto indotto il Vaccari a fare pochissime ferie non appare sufficiente a fondare il suo diritto all'indennità sostitutiva, dato che egli stesso aveva il potere di organizzare il lavoro della redazione senza alcuna possibilità di ingerenza da parte della società editrice. Al riguardo è anzi significativo che egli non abbia fatto alla società alcuna richiesta in proposito, nè abbia lamentato l'insostenibile situazione che non gli consentiva di concedersi le ferie spettantigli.

Avverso questa sentenza il dottor Vaccari ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura.

La R.C.S. Editori s.p.a. (già R.C.S. Rizzoli Periodici s.p.a.) ha presentato controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Diritto

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2109 cod. civ., anche in relazione all'art. 36 cost., e dell'art. 23 CCNL giornalistico 10 gennaio 1959 (D.P.R. 16 gennaio 1961 n. 153), lamenta che il Tribunale; ritenendo legittima la clausola contrattuale relativa alle ferie, abbia finito per attribuire al mancato godimento delle ferie il carattere di implicita rinuncia, illegittima ai sensi degli articoli 36 e 2109 citati, pur avendo esso stesso affermato l'irrinunciabilità del diritto alle ferie.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 cod. civ. in relazione all'art. 2109 cod. cov., lamenta che il tribunale abbia attribuito alla clausola in questione un significato diverso da quello voluto dalle parti, essendo diretta ad impegnare il dottor Vaccari ad organizzare la sua prestazione per assicurare non già unicamente il godimento dei riposi necessari a se stesso ed ai suoi subordinati, ma prioritariamente l'efficienza direzionale, attribuendo valore preminente all'interesse dell'azienda alla buona riuscita del prodotto editoriale.

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2109 cod. civ., nonché vizi della motivazione, in relazione agli artt. 277 cod. proc. civ., e 118 disp. att. stesso cod., lamenta che il Tribunale abbia escluso il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie, senza tenere nel debito contro le risultanze del giudizio di primo grado dalle quali è emerso che il mancato godimento delle ferie è dipeso non dal personale interesse o dalla volontà dello stesso Vaccari, ma dall'enorme mole di lavoro e quindi dalle preminenti necessità aziendali.

Con il quarto motivo il ricorrente, proponendo sotto diverso profilo le medesime deduzioni, assume che il Tribunale avrebbe dovuto valutare come comportamento inequivoco, confessorio e ammissivo del buon diritto del dottor Vaccari il pagamento dell'indennità sostitutiva delle ferie relative all'anno 1989, non tenendo conto della clausola di forfettizzazione delle ferie.

Con il quinto motivo, infine, il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2109 cod. civ., in relazione all'art. 23 CCNL cit, assume che il diritto alla chiesta indennità sostitutiva sia contrattualmente attribuito in caso di mancato godimento delle ferie per esigenze di servizio nella specie comprovate.

I motivi, che per la loro connessione logico - giuridica possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

A parte il rilievo che il ricorrente ravvisa nella clausola di forfettizzazione nel superminimo mensile del compenso delle prestazioni nel periodo feriale una rinuncia al diritto alle ferie, ma ad un tempo esclude dalla materia del contendere la questione dell'ammissibilità della forfettizzazione medesima (pag. 10 del ricorso), devesi subito affermare l'inammissibilità della censura in ordine alla interpretazione della clausola in questione, non essendo specificata la omessa o la erronea applicazione dei canoni ermeneutici solo genericamente richiamati.

D'altra parte, la diversa interpretazione della clausola, assunta dal ricorrente, non "sembra" in sintonia con la lettera della medesima, opinandosi, tra l'altro, dal Vaccari una priorità dell'efficienza direzionale richiesta dall'azienda rispetto al godimento dei riposi necessari, laddove dal testo della clausola dal medesimo riferita risulta la previsione di un'organizzazione del lavoro rimessa al Vaccari in modo da assicurare parimenti sia detta efficienza sia detto godimento.

Quanto alle altre censure, occorre ribadire quanto questa Corte ha già avuto occasione di affermare.

Da un lato, si è enunciato il principio generale secondo cui il diritto alle ferie è irrinunciabile per tutti i lavoratori, compresi i dirigenti (sent. 29 marzo 1985 n. 2226), d'altro lato si è precisato che al dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie, senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non eserciti il potere medesimo e non usufruisca del periodo di riposo annuale, va negato il diritto all'indennità per ferie non godute, salvo che dimostri la ricorrenza di eccezionali ed obiettive necessità aziendali ostative a quel godimento (sent. 18 ottobre 1975 n. 3390; ma v. altresì sent. 6 novembre 1982 n. 5825; 9 novembre 1981 n. 5936 e, da ultimo, 7 marzo 1996 n. 1793).

Ciò posto, e incontestabilmente ritenuta in fatto l'insussistenza di una rinuncia al diritto alle ferie, risulta correttamente escluso il diritto all'indennità sostitutiva delle medesime per fatto riferibile al Vaccari e cioè per l'organizzazione dello stesso data all'enorme mole di lavoro valutata insindacabilmente - trattandosi di quaesti facti - dai giudici del merito come non idonea a postulare il diritto all'indennità sostitutiva, in considerazione del carattere determinante ed assorbente del potere organizzativo del Vaccari al di fuori di ogni possibilità di ingerenza da parte della società editrice. Di conseguenza, sebbene apprezzabile, non è condivisibile il tentativo difensivo del ricorrente di superare detto carattere con diversi apprezzamenti dell'attività svolta, privi peraltro di riscontri nella sentenza impugnata.

Al riguardo, poi, appare non univoca l'argomentazione trattata, ad opera del ricorrente medesimo, dal riconoscimento del diritto all'indennità sostitutiva per il 1989 in sede di liquidazione delle competenze di fine rapporto, al contrario non essendo non ipotizzabile per tale periodo il verificarsi di eccezionali, ostative necessità aziendali che la giurisprudenza, come si è visto, configura per il dirigente come eccezioni alla mancanza del diritto in questione.

Quanto alla quinta censura, infine, ne è evidente la erroneità e l'apoditticità, non potendosi fondare detto diritto su norma contrattuale riferita al "giornalista" in genere (pag. 20 del ricorso) e non al "direttore" di giornale, e non potendosi addurre in questa sede come "comprovate" le esigenze di servizio, in fatto però dal Tribunale valutate con decisamente minore incidenza in rapporto al diritto all'indennità sostitutiva.

Il ricorso deve dunque essere rigettato.

Quanto alle spese del giudizio di legittimità, nel differente esito dei due gradi del giudizio di merito si ravvisano sussistenti giusti motivi per compensarle interamente tra le parti.

(Torna su   ) P.Q.M.

p.q.m.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il primo aprile 1996.

 

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